Portare addosso il vostro bimbo; perché?


Anticamente la pratica del “portare i bambini addosso” era diffusa in molte culture e costituiva un modo pratico, utile ed efficace di gestire il neonato nei primi mesi di vita e anche oltre. Questa abitudine si sta progressivamente riscoprendo nell’ottica di una rivalutazione della genitorialità “ad alto contatto”; si sta cioè comprendendo più a fondo che soprattutto nel periodo dei nove mesi successivi alla nascita – cioè nella cosiddetta esogestazione – il neonato ha una grande necessità di contatto fisico con il genitore e che da questa condivisione empatica si struttura la sua futura personalità con gli annessi aspetti psico-emozionali. La possibilità di essere accolto e abbracciato quotidianamente e di essere ascoltato nel soddisfacimento dei bisogni primari permetterà al bimbo di crescere forte e sicuro, nutrito in un senso non solo fisico ma anche emozionale. La madre che porta addosso a sè il bambino ha la possibilità di recepire in maniera immediata l’esigenza nutrizionale del neonato, che quindi potrà essere allattato “a richiesta”, cioè senza dovere aspettare alcun orario prefissato da rigidi schemi. La madre che porta il bimbo, inoltre, è libera di muoversi senza intralci di passeggini o carrozzine, e può svolgere, con le mani libere, le mansioni della vita quotidiana; il bambino portato viene cullato e accolto dal contatto, dal calore e dal profumo della mamma; da questo deriva un’accelerazione dello sviluppo delle capacità percettive, relazionali ed empatiche con i genitori e con il mondo esterno. La prossimità del contatto fisico con il genitore consente al neonato di calmarsi più velocemente nei momenti di irritabilità, di agitazione e di pianto. La pratica del portare, nell’ambito di una genitorialità ad alto contatto, giova non solo al bimbo, ma anche al genitore che acuisce le proprie capacità di ascolto, di accoglienza e amore per la sua creatura. L’affidarsi totale del bimbo al caldo abbraccio del genitore permette di creare le basi per il futuro sentimento di fiducia che il bimbo proverà nei confronti dei genitori e del mondo che lo circonda. La pratica del portare ripropone al di fuori dell’utero materno un habitat psico-fisico ed emozionale adeguato, che permette una continuità tra il periodo endogestazionale e quello esogestazionale, attutendo eventuali aspetti traumatici di questo cruciale e delicato periodo di crescita. Nell’esogestazione anche il papà può svolgere un ruolo da protagonista nella condivisione di un contatto fisico stretto col bimbo, scoprendo sensazioni ed emozioni che nella fase endogestazionale gli erano precluse.

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